Quando si leggono racconti di viaggio, spesso viene nominata la famosa comfort zone. Questa è definita dalla psicologia comportamentale come La condizione mentale in cui la persona agisce in uno stato di assenza di ansietà, con un livello di prestazioni costante e senza percepire un senso di rischio”.

Se guardo a quando “agisco in uno stato senza ansietà”, mi viene automatico pensare a quelle situazioni che sarebbero definite fuori dalla comfort zone.

Allora penso che la mia area di comfort sia proprio quella in cui mi trovo quando viaggio, quando sono fuori dalle mura di casa, quando non penso alla routine quotidiana. È lì che riesco ad avere un “livello di prestazioni costante“, ma percependo il senso di rischio.
Credo, infatti, che la sensazione di dover stare attenta ai pericoli sia necessaria per stare bene. Mi tiene sul pezzo, mi fa pensare di essere viva e mi mette davanti a nuove sfide, che accolgo volentieri nella mia comfort zone insieme agli imprevisti.

Quindi io la penso così: non cerchiamo di uscire e scappare da questa comfort zone, altrimenti vuol dire che abbiamo sbagliato ad individuarla.
Al contrario facciamo uno sforzo maggiore per identificarla, pensiamoci e cerchiamo di ritrovarla quanto più spesso possibile.

La mia comfort zone non è individuabile in una situazione tipo, è molto duttile ed elastica.
Può essere in mezzo al verde, sotto il telo di una tenda a cui ultimamente ho aggiunto anche la bici accanto, può essere in mezzo alle montagne innevate con il sole che picchia sulla fronte oppure ancora in mezzo al nulla lungo una strada con lo zaino sulle spalle.
Ah! Mi accontento anche di una birra in ostello chiacchierando con sconosciuti oppure di una palestra dove fare uno qualsiasi degli sport che più mi appassionano.

Insomma potrei affermare di avere, per fortuna, una moltitudine di comfort zones e spero di aggiungerne sempre ancora.

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