La sveglia oggi é suonata all’alba e dal villaggio di Chyangugu (che sorge sulle sponde del lago Kivu, nella parte occidentale del Rwanda) ci siamo diretti verso un piccolissimo agglomerato di casette per partecipare all’Umuganda.

In Ruanda tutte le persone tra i 18 e i 65 anni devono dedicare l’ultimo sabato del mese ai lavori per la comunità. Vi sono diverse attività: smaltire i rifiuti, asfaltare le strade, aiutare i più bisognosi… l’importante è che ciascuno partecipi ad una di esse. In questo consiste l’Umuganda.

È sorprendente notare come questa attività, che, seppur radicata nella tradizione ruandese, rimane un’imposizione del governo, trovi la partecipazione di tutti e soprattutto raccolga grande entusiasmo.

Tornando a noi, il progetto che abbiamo supportato si occupa di costruire una casa per un’ anziana donna sola che al momento vive in un “rudere” dove entra acqua.

Appena arrivati dove sorgerà la nuova abitazione, i miei occhi cominciano a correre su e giù per le colline che ci circondano: mi guardo intorno senza pensare, scatto con gli occhi delle fotografie da conservare nella mia mente che riguarderò quando sarà il momento di riflettere sull’esperienza che ho vissuto.

Per i primi momenti siamo osservatori e abbiamo l’occasione di fare due chiacchiere con il sindaco della zona che intanto si rende utile stando attento a non sporcarsi e controlla che tutti collaborino.

Scopriamo che il legno per l’ossatura della casa, fornito dal comune, viene rinforzato con blocchi di fango presi dalla terra intorno alla casa ed infine il tetto è in lamiera.

Studiando la situazione capiamo che ognuno ha il suo ruolo.
Tra gli uomini c’è chi zappa la terra per crearne dei blocchi che verranno passati ad altri giovani virgulti che li rompono fino a farli diventare polvere su cui è poi versata dell’acqua. Per creare una fanghiglia omogenea molte persone ci camminano sopra, mentre altri raccolgono dei lunghi fili d’erba da unire (così si garantisce la compattezza necessaria per far si che, una volta seccatesi, la fanghiglia rimanga compatta e dia sicurezza alle pareti della casa).


Altri ragazzi ancora si occupano del tetto: sono seduti in bilico sui legni più alti della struttura e martellano dei grossi chiodi per fissare dei sottili fogli di lamiera.

Le donne invece sono incaricate di andare a prendere l‘acqua al pozzo. Si incamminano in mezzo al verde, seguendo un sentiero visibile solo a chi sa dove andare. Partono con le taniche vuote e tornano con 5 o 10 litri di acqua sulla testa.

Ci sono anche tanti bambini che stanno appollaiati poco più su: guardano i lavori e giocano con dei rametti che diventano taglientissime spade. Loro sono gli unici a potersi godere il giorno di riposo.

Ci siamo quindi fatti un’idea di come funziona, stare in piedi a guardare ci stava cominciando a stare stretto ed eravamo curiosi di inserirci nell’impeccabile catena di montaggio. Questa, con il passare del tempo, diventava ancora più precisa visto che si doveva portare la semisolida fanghiglia di acqua, terra ed erba all’interno della casa per rinforzare le assi di legno che ne disegnavano i lati esterni. Si è così formata una fila di gente che copriva la distanza tra la terra lavorata e la prima finestra utile della casa. Delle porzioni del composto venivano quindi passate di mano in mano per essere poi lanciate dentro quella che diventerà la casa.

Decidiamo di unirci a questa catena e appena passiamo all’azione si alza una sonora risata. Sono quasi certa che il motivo fosse la sorpresa nel vedere i bianchi al lavoro, cioè nel vedere un gruppo di ragazzi europei che non si limitano ad osservare cosa sta succedendo, ma che concretamente mettono energie, sorriso e curiosità per collaborare alla costruzione della casa.

Quando ci capitano tra le mani i primi pezzi di fanghiglia ci accorgiamo di quanto siano pesanti e stiamo attenti a non sporcarci troppo. Dopo pochi passaggi però le preoccupazioni per i vestiti spariscono e, mentre lavoriamo tutti insieme, ridiamo e scherziamo con i locali. A loro non pare vero essere in una situazione del genere e ne approfittano per fare davvero un milione di foto.

Una volta che c’è abbastanza materiale all’interno dell’ossatura della casa, si forma un’altra fila per arrivare ai muri più lontani. Stavolta quindi l’ultimo della fila non lancia i pezzi di materiale melmoso oltre una finestra, ma li lancia con forza sulle assi, tra i tronchi, che formano il perimetro della casa.

Scopriamo che questo ultimo passaggio è davvero divertente e ci mettiamo a cercare di riempire un pezzettino della parete. Sotto gli occhi attenti dei ruandesi riceviamo tutte le indicazioni necessarie: i blocchi devono essere lanciati con forza perché devono aderire completamente alle assi di legno e soprattutto bisogna partire dal basso per non lasciare pericolosi buchi.

Terminato il nostro lavoro, ci sciacquiamo le mani. Mentre aspetto i miei compagni di viaggio non perdo occasione per scambiare degli sguardi con i bambini che subito si incuriosiscono. Finiamo a giocare tra l’erba alta e la strada sterrata, non comunichiamo a parole per evidenti problemi linguistici, però, ancora una volta, sguardi e gesti si dimostrano abbondantemente sufficienti.

È arrivata ora di andare, dobbiamo rispettare la nostra tabella di marcia quindi salutiamo i nostri “colleghi” e ci incamminiamo per le strade rosse che si fanno spazio tra le verdissime colline per arrivare alla macchina.

È proprio tornando indietro che bussa alla porta della mia testa una domanda: se il pozzo è a trenta minuti a piedi significa che l’anziana signora e gli abitanti delle casette circostanti devono fare tutti i giorni mezz’ora di cammino per avere l’acqua?